IL TEMPO GIUSTO PER INVESTIRE

PENSO QUINDI INVESTO – PARTE II

Ci siamo lasciati nell’ultimo post con un’analisi preliminare circa le decisioni “comportamentali” che spingono gli investitori (una buona parte) a commettere errori. Da qui la necessità in primis di impostare un sistema efficace, che impedisca di farci governare dalle emozioni nei momenti di mercato più delicati. Ma come possiamo migliorare ulteriormente la nostra strategia? Ancora una volta James Montier ci viene in soccorso con alcuni consigli utili su come valutare (con buona approssimazione) il momento migliore per entrare ed uscire sul mercato, e lo fa con un gioco… Lanciate una moneta. Se perdete, dovete all’autore 100 Euro. Ragionando un secondo su questa proposta, vi viene chiesto, per farvi accettare la sfida, quale dovrebbe essere la vincita minima secondo voi per partecipare al gioco: cosa rispondereste? Per ipotesi Montier suppone che nella risposta si possa giocare solo a multipli di 1 Euro, pertanto la risposta più logica dovrebbe essere 100 Euro. Tuttavia nell’esperimento la gente indica una cifra più alta. Questo gioco è stato rivolto ad alcuni gestori di fondi comuni, e la media delle loro risposte ha portato al risultato di 200 Euro (quindi il doppio della risposta logica). Questo perchè a parità di montepremi, si è osservato che in generale la percezione della perdita è fra 2 e 2.5 volte più acuta di quella del guadagno (chiamasi “avversione alla perdita”), e questo vale, per non sentirci soli, anche per le scimmie. Oltre a questo, come esseri umani abbiamo sviluppato secondo l’autore una tendenza ad essere miopi, ovvero tendiamo istintivamente a concentrarci sul breve termine tralasciando il periodo medio-lungo. Questo si riflette nel fatto che statisticamente, le persone che controllano (e variano) più spesso il loro portafoglio sono più soggette a perdite rispetto a coloro che sanno pazientare maggiormente. Come riportato anche da Joel Greenblatt, autore de “il piccolo libro che batte il mercato azionario”, l’avversione alla perdita è uno dei tanti pregiudizi che ci impediscono di investire secondo la “formula vincente” (nei prossimi post recensiremo anche questo libro). Egli scrive: supponiamo di osservare diligentemente l’andamento delle azioni tutti i giorni, mentre registrano performance peggiori del mercato per molti mesi, addirittura anni…Il portafoglio della FORMULA VINCENTE ha sottoperformato il mercato  in 5 mesi su 12, per ogni periodo analizzato. Su base annua, non è riuscito a battere il mercato solo 1 volta ogni 4 anni.  Il fatto che alcuni gestori portino con sè questo errore cognitivo legato all’avversione alla perdita, permette loro di essere dubbiosi in merito alle scelte fatte inizialmente, e quindi modificano i portafoglio causando errori ancora più evidenti. QUALI SONO I MOTIVI CHE CI IMPEDISCONO DI VENDERE? Nel libro vengono riportati ancora una volta alcuni esperimenti, che fanno emergere come fondamentalmente le due spinte che muovono gli investitori siano l’avversione alla perdita e la propensione al rischio combinate insieme. Viene dimostrato come la gente non percepisca una perdita fino a che non diventa reale (cioè dopo la vendita dei titoli). Ciò induce gli investitori a tenere le azioni in perdita e vendere quelle su cui stanno guadagnando, il fenomeno è conosciuto come “disposition effect”. A seguito di studi approfonditi infatti è emerso che gli investitori vendono le azioni in guadagno 1.7 volte di più rispetto a quelle in perdita, questo perchè hanno la convinzione (spesso errata) che torneranno a salire presto (questo modus operandi vale anche per gli investitori professionali, dove invece di 1.7 il moltiplicatore è 1.2). Infine è stata stilata da un ricercatore di Chicago (Andrea Frazzini) una classifica di fondi comuni in base alle performance degli ultimi 12 mesi. I fondi con i risultati migliori sono quelli che hanno venduto il maggior numero di azioni in perdita. Tra i migliori il rapporto tra vendita azioni in utile rispetto a quelle in perdita è molto inferiore al valore visto sopra per gli investitori professionali (1.2). Ecco perchè l’autore introduce l’importanza (con una strategia definita a priori) di uno Stop loss, che possa portare il portafoglio investito a performance decisamente migliori. Riportando un esempio del libro, immaginiamo una società che abbia comunicato buoni risultati e che il prezzo delle azioni salga. Gli investitori si precipiteranno a vendere dal momento che avranno portato a casa un guadagno. Viceversa se i risultati saranno negativi (e le azioni scenderanno) ci sarà la tendenza, per l’errore cognitivo visto prima, a mantenere le azioni senza liquidare la posizione, nella speranza che le azioni tornino a salire. La morale quindi è: definite a priori degli STOP LOSS, e ragionate sempre sul disposition effect prima di agire (sia in guadagno che in perdita). Oltre a questo nel libro viene spiegato quel fenomeno che in gergo tecnico si chiama “effetto dotazione”, ovvero quella difficoltà di separarci da qualcosa che abbiamo comprato (azioni in questo caso). Ecco perchè bisogna mettere un altro punto di attenzione qualora abbiate delle azioni in portafoglio e vogliate aumentarne il numero; il vostro cervello tenderà inconsciamente ad attribuire un valore più elevato di ciò che in realtà è. Richard Pzena, gestore del fondo Parvest Equity, dice che una prima importante valutazione dipende da come si comporta il titolo quando scende del 25%. A volte si deve comprare di più, altre volte liquidare, sta a noi decidere. Ora che abbiamo visto come valutare le fasi più delicate di un investimento, ci vediamo al prossimo post dove parleremo di come impostare un sistema (o processo) utile a massimizzare le performance del nostro portafoglio. Alla prossima!